giovedì 10 dicembre 2009

Caterina a 19 anni

OTTOBRE 1990
Caterina sta per compiere 19 anni, si è diplomata a pieni voti alle scuole superiori ed ha intenzione di iscriversi alla facoltà di Giurisprudenza a Macerata, quando un'altra tragedia sconvolge la sua giovane vita: il suicidio del padre.
"Avevo quasi 19 anni quando, in un tiepido inizio di autunno, mio padre si uccise sparandosi un colpo alla tempia con una pistola che custodiva gelosamente e di cui io non sapevo neanche l'esistenza. La sua vita era stata segnata da quella tragedia avvenuta circa dodici anni prima in cui rimase ucciso il mio fratellino di circa 3 anni; a mio padre la domenica piaceva cucinare, preparava la brace nel caminetto e ci cuoceva di tutto, spiedini, salsicce, verdure gratinate, polli allo spiedo. Quel giorno aveva acceso il fuoco e preparato la graticola sul tavolo: Alfonso per gioco prese la graticola e si mise a correre per la stanza con quell'oggetto in mano. Cercando di scongiurare un pericolo, mio padre lo rincorse, lui inciampò e cadde a terra, la graticola volò in aria e ricadde sulla nuca del povero fratellino; una punta metallica trovò giusto lo spazio tra due vertebre cervicali, infilandosi nel midollo spinale e provocando la morte immediata del piccolo. Il papà non si dette mai pace per questo episodio; insieme a mia madre decise di fare un altro figlio per compensare la perdita e nacquero i due gemelli. Il fatto di chiamare di nuovo Alfonso il maschio forse non fu una brillante idea, perché ogni volta che i miei pronunciavano il suo nome ritornava loro in mente la tragedia. Col passare del tempo, sentivo i miei genitori litigare sempre più spesso: mia madre ogni volta gli faceva pesare la sua responsabilità riguardo la morte del bambino, così mio padre andò incontro alla depressione, cominciò delle sedute di psicoterapia, il terapeuta lo imbottì di psicofarmaci e alla fine giunse al suicidio. Sentii quello strano forte rumore provenire dal suo studio e non rendendomi conto di cosa fosse, andai di corsa verso lo studio di mio padre con un brutto presentimento e lo vidi accasciato sulla scrivania: accanto a lui un laconico biglietto con scritto "perdonatemi". Non riuscii a versare una lacrima, mia madre non sembrava neanche troppo dispiaciuta del fatto, forse la prese come una liberazione. Fatto sta che avevo bisogno in quel momento di parlare con qualcuno che mi comprendesse. Stefano aveva aperto ormai da quattro anni un piccolo ambulatorio in periferia e si era fatto già un buon nome in zona come Veterinario: andai lì verso l'ora di chiusura e aspettai pazientemente che uscisse l'ultimo cliente.
Solo tra le sue braccia riuscii finalmente a dare sfogo a tutte le mie lacrime: lui mi lasciò fare, tenendomi abbracciata e carezzandomi dolcemente i capelli. Quando il pianto si esaurì, mi resi conto che il mio trucco con le lacrime si era completamente trasferito sul suo lindo camice bianco, formando una bella macchia violacea, ma sembrava che questo non lo preoccupasse. Gli dissi: "Ho sofferto troppo in questi ultimi anni, ho visto troppo male intorno a me e vorrei rimediare cercando di fare un lavoro che serva a qualcuno e nello stesso tempo possa darmi soddisfazione personale. Dammi tu un consiglio!" Lui mi sorrise e finì di asciugare le mie lacrime con un gesto estremamente dolce: "Ti sei diplomata da poco con il massimo dei voti all'Istituto Tecnico Femminile con indirizzo Scienze Sociali, hai una buona conoscienza di psicologia e sociologia, in più adori gli animali, i cani in particolare. Un mio amico, che è sovrintendente in Polizia, mi ha detto giusto qualche giorno fa che è in cantiere un progetto di realizzare un gruppo cinofilo della Polizia di Stato dipendente dalla Questura di Ancona."

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